In occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, del 21 settembre, la Società Italiana di Neurologia sottolinea come sia fondamentale la diagnosi e la sperimentazione che offre nuove opportunità terapeutiche
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Le cifre fanno quasi paura: nel mondo si stima siano circa 25 milioni le persone affette da Malattia di Alzheimer. Questa, che è la più comune forma di demenza, soltanto in Italia fa registrare più di 600mila casi.
Questi numeri fanno ben comprendere come sia di vitale importanza la prevenzione e, nel caso, la diagnosi precoce. Così, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, che si celebra il prossimo 21 settembre, la Società Italiana di Neurologia (SIN) sottolinea l’importanza dei risultati conseguiti dalla ricerca scientifica nello sviluppo di nuove terapie e nella diagnosi precoce.
La malattia di Alzheimer si caratterizza per il processo degenerativo che colpisce in modo progressivo le cellule cerebrali. A dover mettere in allarme sono in genere manifestazioni quali deficit di memoria, disturbi del linguaggio, perdita di orientamento spaziale e temporale, oltre a frequenti cambiamenti di umore. A esserne maggiormente colpiti sono i soggetti di età superiore ai 65 anni, in particolare le donne. Tuttavia, oggi appare ampiamente dimostrato come la patologia possa esordire anche in età presenile. E, purtroppo, a oggi non esiste una terapia definitiva per combattere l’Alzheimer, sebbene a rivestire un ruolo cruciale è una diagnosi corretta e tempestiva.
«Tecniche di imaging, quali la risonanza magnetica, o la PET – dichiara il prof. Carlo Ferrarese, Direttore Scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano, dell’Università di Milano-Bicocca – sono strumenti potentissimi in grado di effettuare una diagnosi precoce o addirittura preclinica della malattia di Alzheimer, ossia prima che si sia dimostrata clinicamente la demenza. Effettuare la diagnosi precoce della malattia risulta fondamentale per alcune strategie terapeutiche, attualmente in fase avanzata di sperimentazione, che solo se attuate in fase precoce potrebbero modificare il decorso della malattia».
«Inoltre, individuare con largo anticipo i soggetti che possono essere colpiti da Alzheimer significa poter prendere in carico il paziente sin dalle prime fasi e garantire un maggior livello di assistenza», conclude il prof. Ferrarese.
Queste terapie in via di sperimentazione andrebbero ad agire sulla proteina beta amiloide – il noto marcatore della malattia che si deposita nel cervello delle persone affette da Alzheimer. L’azione avverrebbe bloccandone l’accumulo, inibendone la produzione o rimuovendo la proteina con anticorpi.
Sfortunatamente non sono ancora note le cause alla base della malattia di Alzheimer, ma la ricerca scientifica ha fatto enormi passi avanti nell’identificazione di fattori che incrementano il rischio di sviluppare la patologia. Tra questi: specifiche mutazioni genetiche, età, nonché la conduzione di uno stile vita non corretto ed equilibrato. Tutti elementi che conferiscono un rischio maggiore di sviluppare la malattia. Studi recenti, inoltre, hanno dimostrato come l’esercizio fisico, la pratica di hobby e i rapporti sociali agiscano da fattore protettivo non soltanto nei confronti di Alzheimer, ma più in generale delle varie forme di demenza esistenti.
A proposito di SIN
La Società Italiana di Neurologia conta tra i suoi soci circa 3.000 specialisti neurologi e ha lo scopo istituzionale di promuovere in Italia gli studi neurologici, finalizzati allo sviluppo della ricerca scientifica, alla formazione, all’aggiornamento degli specialisti e al miglioramento della qualità professionale nell’assistenza alle persone con malattie del sistema nervoso.
Per info e approfondimenti: www.neuro.it.
(fonte lastampa.it)