I segnali ci sono, anche se il fenomeno non è ancora diffuso: a causa della situazione economica, qualche famiglia rinuncia a mettere gli anziani in casa di riposo. In molte zone sono infatti diminuite le liste di attesa.
Era giunta notizia, nella redazione di “Vita”, di un anziano ritirato dalla casa di riposo in cui si trovava e ripreso in famiglia dal figlio sposato, in cassa integrazione. Impossibilitato a contribuire alla retta della struttura, aveva scelto di risparmiare la pensione e l’accompagnatoria del vecchio genitore provando ad accudirlo a casa.
Questo fatto si è poi collegato ad altre informazioni che si susseguivano da qualche tempo: un calo nel numero dei contratti stipulati per le badanti e le liste di attesa per le case di riposo in alcune Ulss della nostra Diocesi che stanno diminuendo sensibilmente; la direttrice dell’istituto Guizzo Marseille di Selva del Montello ha lanciato nelle scorse settimane un grido d’allarme in merito al calo del 20% degli anziani ricoverati nella struttura; i Comuni ad ogni occasione ribadiscono il proprio affanno per sostenere economicamente il costo di chi non ha reti familiari o altri redditi. Tutto ciò, ci ha portato ad approfondire la questione, in particolare su come la crisi economica delle famiglie oggi incide sugli anziani e sulle strutture.
I conti della crisi
“I dati in effetti parlano di un calo di richieste di accesso alle case di riposo” commenta Mauro Volpato, direttore del Centro Anziani Domenico Sartor di Castelfranco. Se a giugno 2011 le domande complessive nell’Ulss 8 erano 234, divise tra soggiorni temporanei estivi, Rsa, non autosufficienti semplici e diurni, ad oggi sono 151. Nel dettaglio, poi, 120 persone l’anno scorso prima dell’estate erano in lista avendo chiesto, in modo specifico o in alternativa ad altre opzioni, la struttura di Castelfranco; nel 2012 sono 67. “In realtà potremmo fare diverse ipotesi collegate ad una reale diminuzione del numero di richieste – prosegue Volpato -; potrebbero essere calate le domande cosiddette “preventive”, cioè di coloro che scelgono di mettersi in lista d’attesa sapendo che passerà del tempo prima dell’effettiva possibilità di ingresso nella struttura. E non è nemmeno escluso possa trattarsi di una decisione dettata dalle difficoltà economiche delle famiglie”. Da questo punto di vista, la cartina di tornasole è il calo delle richieste per i posti fuori convenzione, quelli cioè che non prevedono la quota sanitaria regionale ed il cui costo si aggira attorno ai 75 euro al giorno (a fronte dei 50 in regime convenzionato). “In linea di massima notiamo che, per ora, sommando la pensione dell’anziano, l’accompagnatoria, l’integrazione dei familiari o i risparmi, le persone riescono a far fronte alla retta, ma è evidente che il futuro pone un serio interrogativo su tutta la questione”. A maggior ragione considerando il fatto che la nostra società invecchia ad un ritmo veloce: certo migliora la qualità della vita, ma le pensioni più basse, i pochi soldi messi da parte, l’assenza di reti di sostegno minano questo sistema di accudimento e cura.
Le famiglie tengono duro, finché possono
Un altro indicatore utile è l’aumento delle richieste di assistenza in centri diurni o per soggiorni temporanei. “Possiamo ipotizzare che le famiglie tengano duro, optino per dei «ricoveri di sollievo» almeno finché la situazione è gestibile in casa – spiega Laura Traversi, assistente sociale del Centro di servizi alla persona Luigi Mariutto di Mirano -; tuttavia, quando per l’anziano non è più possibile un’alternativa sostenibile rispetto alla casa di riposo allora anche l’aspetto economico diventa secondario. Del resto i non autosufficienti sono molto faticosi da accudire, non fosse altro per gli strumenti necessari anche solo a spostarli dal letto alla carrozzina”.
Della stessa opinione Fausto Favero, presidente dell’Israa di Treviso. “Macché liste d’attesa ridotte – commenta, ed in effetti per l’Ulss 9 a ragion veduta -. Certo, finché le famiglie ce la fanno, tengono a casa gli anziani; ma quando le condizioni degenerano, o per i motivi più diversi i figli non riescono più a gestire i propri genitori, l’unica soluzione sostenibile è la casa di riposo. Persone con alzheimer o con demenze importanti sono davvero troppo impegnative, anche per i più amorevoli”. Le strutture di Treviso accolgono solo non autosufficienti e le richieste sono numerose. “I nostri centri vedono liste d’attesa sempre lunghe perché sono una risposta di qualità al bisogno complesso di cura”.
Regione e Comuni chiamati in causa
Se poi la famiglia non ce la fa a contribuire alla retta, oppure proprio non c’è, allora deve intervenire il Comune. La questione è evidentemente complessa ma, con i limiti di bilancio degli ultimi tempi, la crisi di risorse e i patti di stabilità, questi costi sono ancora più impegnativi. “I casi sociali per ora non sono moltissimi – concordano sia Traversi che Volpato -, tuttavia è evidente che la situazione non è facile”.
Senza contare che da un paio di anni la Regione non adegua all’inflazione la quota sanitaria, mentre le rette a carico degli anziani e delle loro famiglie sono evidentemente riviste in base all’Istat. Ad oggi sono circa 25.000 le quote distribuite dal Veneto per un complessivo di circa 450 milioni di euro. Si conta che sarebbe necessario implementarle di 5.000, cioè altri 100 milioni. Cifre impegnative per la nostra Regione, di chiaro impatto sui bilanci.
Il cantiere sul futuro, perciò, resta aperto soprattutto considerato che, dati alla mano, oggi gli over 80 in Italia sono già più di 2,5 milioni, destinati a triplicarsi nel 2050 con una quota rilevante di non autosufficienti; 21 milioni saranno gli ultrasessantenni a fronte di 8 milioni di giovani. Ciò non significa che gli anziani siano un’emergenza, un problema, addirittura una minaccia al benessere. Ma è chiaro che la crisi della famiglia, non solo economica, chiede risposte di sostegno e crescita.
(fonte La Vita del Popolo)
A cura di Francesca Gagno